Il direttore di arcobaleni
Clop …. tin … clop … clop …
Marco guarda fuori dalla finestra la pioggia cadere rada, alla fine del furioso temporale. Le poche gocce si tuffano al trotto dentro le pozzanghere e saltellano sui vetri e sulle ringhiere di metallo.
Il cielo è ancora grigio,ma i nuvolosi più neri si sono dissolti e qua e là qualche lembo d’azzurro fa capolino occhieggiando tra le nubi.
A Marco piace guardare i temporali, osservare col cuore in gola la loro furia e poi crogiolarsi nella calma che segue la loro fine, quando i tuoni si fanno sempre più lontani, fino a non sentirli quasi più e l’acqua cade sempre più lenta, come adesso.
Ecco, mentre osserva il cielo ancora plumbeo, furtivo, un pensiero, un’immagine vivida negli occhi della mente: una casa in collina, tra le viti, ricordi di vacanze estive, e, come ora, un temporale rabbioso.
Nella cucina, un Marco più piccolo, cinque, sei anni, osserva la bufera, affascinato, insieme ad una donna anziana che continua ad agitarsi, tra la finestra e il focolare …
La nonna.
Un altro giorno
Nonna Gisella era minuta, piccola di statura, i capelli grigi corti e ordinati, non stava mai ferma. Mentre lavorava, raccontava storie del passato, favole, descriveva le piante e gli animali, diceva la sua sul mondo e sulla vita, impastando una torta o stirando la biancheria di bucato. Era sempre allegra e serena, nonna Gisella, mai che gridasse o alzasse la voce, anche se ogni tanto, il vecchio gatto Fiocco rischiava grosso, quando faceva sparire le bistecche pronte da cuocere sul tavolo di cucina. La nonna lo minacciava di atroci torture, di scuoiarlo, di metterlo in pentola e lo rincorreva. Ma sembrava più un gioco tra vecchi amici che vivono insieme da tanti anni e la nonna non perdeva davvero la calma neanche allora. Subito dopo, infatti, tornava serena e tranquilla, come sempre.
Ma non durante i temporali, quando, come adesso, nel ricordo di Marco, si aggira ansiosa per la cucina, tra la finestra e il focolare, ora osservando la furia della tempesta, ora attizzando il fuoco, ora mormorando preghiere.
“Gesù, Maria, che non venga la grandine, ché l’uva sta maturando … oddio quanta acqua, che vento!” E torcendosi le mani va all’altra finestra: “Guarda che nero, che nuvoloni, misericordia! Ecco, ora grandina… è grossa come noci, che disastro!” E al rombo più forte di un tuono corre a prendere i rami d’ulivo benedetto il giovedì santo e conservato sotto l’immagine della Madonna.
“Là, bruciamo l’ulivo benedetto nel focolare, contro la tempesta, che torni il sereno …”
E fa la spola, finestra, focolare, tavolo, immagine della Madonna, “Oddio, quando finisce, guarda le foglie! E quel pino che è vecchio, co’ ‘sto vento, resisterà?”
Marco trattiene il respiro, affascinato dalla furia della natura e sottilmente angosciato dall’agitarsi convulso della nonna.
E’ come se il turbine del vento che fuori soffia, fischia, sibila, ulula, mette alla prova le piante e mulinella gli oggetti più leggeri, nella cucina si fosse materializzato in quel donnino che nel suo moto perpetuo sospira, sussurra, mormora, singhiozza e, vorticando, pare persino ronzare.
E nella stanza, la fragranza particolare delle foglie di ulivo che bruciano, un ricordo così vivido, che Marco inspira, come lo sentisse in questo momento.
E’ forse quella, o la nuvola sottile di fumo odoroso che sale dal fuoco, che acquieta la nonna, che ancora si muove, prega, mormora, sussurra, ma come assorta, sempre più fievole, come il carillon, quando è esaurita la carica.
Pian piano i tuoni si fanno sempre più radi, più lontani, rombo, mormorio, sussurro … La pioggia che prima martellava furiosa e si tuffava al suolo spiaccicandosi ribollendo per terra, si fa più lenta, tossisce, tintinna, trilla… Tin … tin sul vecchio catino di ferro … ciac ciac nell’abbeveratoio … clop, clof dalla grondaia … plin … plin … ciac ……. Clof ……….. ciac ………………… Tin …………………………………………………………….tin
Le nuvole velocemente migrano e si dissolvono, spinte dal vento che ora è solo refolo saltuario. L’aria è tersa e limpida ma rimane una sottile nebbiolina di goccioline sospese a mezz’aria, come un velo di Fata Morgana.
E, tra le gocce, ecco spiegarsi nel cielo, palpitando, agli occhi attoniti di Marco, un arco di mille colori, che sale dalla terra, abbraccia il cielo e scende lieve, dall’altra parte dell’orizzonte. E più in là, eccone un altro che si leva più in alto e un altro ancora, che li scavalca entrambi.
“Nonna, nonna, guarda gli archi colorati! Sono cento, mille, tutti i colori!”
Marco esce in cortile correndo, il naso all’aria, le braccia in alto, come per toccare gli archi magici, che sembrano vicini, così vicini.
“Oh, beh, mille, cento … Guarda bene e poi dimmi quali colori distingui” dice nonna Gisella alle sue spalle.
“Rosso, poi arancione, poi arancione più chiaro … “
“A me pare giallo…”
“Va beh, rosso, arancione, giallo… poi diventa verdino, poi è azzurro, azzurro più blu e più blu ancora …”
“Azzurro, l’azzurro più blu lo chiamano anche indaco e il più blu ancora è il violetto. Quanti sono?”
Marco osserva le dita sulle quali ha contato i colori. “Sono sette, sì sette! Ma cosa sono quegli archi?”
“Si chiamano arcobaleni e a volte si vedono dopo i temporali.”
“Come succede, nonna?”
“Dicono che è il sole che, giocando con le gocce d’acqua, rompe la luce in tutti i colori.”
“Ma dove nascono gli arcobaleni? Sono così vicini! Posso andare a toccarli dove nascono?”
“No, non sono tanto vicini e non si possono toccare. Nessuno sa dove nascono.
Se proverai a raggiungerli, si allontaneranno sempre più. Se camminerai all’infinito, saranno sempre un po’ più in là.”
“Si spostano? Chi li comanda? Qualcuno abita sotto l’arcobaleno?”
“Non lo so piccolo, né dove nascono, dove finiscono, se si spostano o se c’è qualcuno che li comanda. Alcuni dicono che i folletti e gli gnomi nascondano paioli pieni di tesori dove nasce l’arcobaleno, ma siccome non si può raggiungere l’arcobaleno, nessuno li ha mai trovati.”
“Ma allora … i folletti lo sanno dove nasce. Abitano là? Sono loro che comandano l’arcobaleno?”
“Mah, piccolo mio, chi lo sa? Anche a me, piacerebbe, un giorno abitare su un arcobaleno.”
“Quando?”
“Quando sarò troppo stanca e troppo vecchia per stare qui e dovrò andare via. Allora mi piacerebbe abitare sull’arcobaleno.”
“Io, invece, vorrei comandare gli arcobaleni.”
“Come, piccolo, comandare gli arcobaleni?”
“Sì, farli nascere dove voglio e quando voglio e quanti ne voglio, che si incrociano, si scavalcano e fanno a gara tra loro, come questi” esclama Marco indicando i tre archi che ormai si stanno pian piano dissolvendo.
“Adesso vanno via?” chiede Marco deluso.
“Il sole si sarà stancato di giocare con l’acqua” conclude nonna Gisella aprendo le braccia.
“Da grande voglio fare il direttore di arcobaleni!” esclama Marco camminando imbronciato verso casa.
Oggi
Il temporale che sembrava finito, riprende energia e impeto. Il vento rinforza e i refoli ridiventano raffiche che investono la pioggia sempre più fitta.
Le nuvole, che erano già diventate candidi cumuli, si ammassano veloci in nembi nerissimi che solcano il cielo al galoppo.
Bagliori di lampi illuminano il pomeriggio già scuro e un altro ricordo, meno lontano, due estati fa.
Un altro giorno
Casa in collina. Mattina di fine luglio. Nonna Gisella percorre le stanze della casa, guarda gli anfratti, sotto i letti, dentro gli armadi, via via sempre più preoccupata.
“Fiocco, dove sei? Vecchio gatto dispettoso, vieni fuori!”
“Micio micio miiiicio” compare un Marco un po’ più cresciuto che si aggiunge alla ricerca.
“Dove sarà finito quel delinquente! Non si vede da ieri pomeriggio, ieri sera non è tornato a mangiare, stamattina non si è ancora visto ed è mezzogiorno! Sempre in giro a morose e poi torma magro, sporco da fare schifo e magari pure malconcio per le guerre con gli altri maschi!”
Nonna Gisella maschera la sua crescente preoccupazione con una finta ira. Il vecchio gattone bianco, compagno di tanti anni, non era mai mancato così a lungo.
“Cerchiamo anche nel fienile, in cantina, nella stalla, sotto le botti, negli angoli, Chissà dove è capace di nascondersi”.
Nulla nelle stanze della casa. Nulla in cantina. Nulla nel granaio. Marco e la nonna, ormai disperati, entrano nella stalla, vuota di mucche da ormai diversi anni. Le greppie sono vuote, solo un mucchio di fieno per terra, in un angolo, sotto l’imboccatura del fienile.
Marco e la nonna si scambiano uno sguardo che è come un presentimento e si avvicinano. Raggomitolato sopra il cumulo, ansimante, gli occhi azzurri vitrei e fissi, il pelo già candido e soffice, ora ispido e opaco, Fiocco.
Il vecchio gatto alza appena la testa al mormorio della padrona che lo chiama, gli occhi si animano un poco. La nonna lo prende in braccio con tenerezza, lo culla, lo porta al calore della cucina, sempre chiamandolo piano e accarezzandolo. Lo sistemano sul suo cuscino vicino al focolare, provano a fargli bere un po’ d’acqua con un cucchiaino, gli parlano e lo accarezzano piano. Gli occhi di Fiocco sempre più velati sembrano tristi, il respiro si fa rantolo, sempre più flebile, fino a cessare. Dagli occhi chiusi, due lacrime.
“Cosa è successo a Fiocco, nonna?” Marco è disperato e non sa farsi una ragione. Fiocco era sempre stato lì, anche prima che lui nascesse, ogni estate lo aveva accolto all’arrivo, andandogli incontro lentamente, con sussiego ed eleganza, la coda ritta, quasi con noncuranza, come lui sapeva fare. Ogni fine estate lo aveva salutato strofinandosi sulle gambe, un leggero miagolio e uno sbadiglio, come dire:
“Sì, ciao, ti saluto, ma adesso ho sonno e vado a dormire”.
La nonna scuote la testa, anche lei sconvolta. Fiocco era stato per tanti anni un compagno discreto e affettuoso, che sembrava sempre sapere quando era il momento di coccolarsi se lei era tranquilla, di consolarla se era triste, di giocare o farle i dispetti se era allegra. Era stato la sua compagnia costante dalla morte del nonno, avvenuta da diversi anni, prima che Marco nascesse.
“Era molto vecchio. Forse si è bagnato alla pioggia di ieri, ha preso freddo e si è preso un malanno. Non respirava bene, hai visto. Si sarà trascinato nel fieno, da solo, per non disturbare, aspettando di morire. Gli animali a volte lo fanno, quando stanno molto male, di stare da soli, lontano da tutti.”
“Cosa ne sarà di lui adesso?”
“Lo seppelliremo in un bel posto, che a lui piaceva. Laggiù sotto il grande noce dove si arrampicava sempre e dove sonnecchiava all’ombra. Sì, gli piacerà.”
La mattina fresca e soleggiata lascia il posto ad un cupo pomeriggio, che accompagna la tristezza della nonna e di Marco.
Un temporale violento e rapido si scatena, ma questa volta la nonna non si agita come al solito. Se ne sta tranquilla, seduta vicino al focolare, fissando il cuscino vuoto dov’era stato Fiocco.
“Dove sarà Fiocco, nonna?”
“Credo che sia in un bel posto, magari lo stesso dove sta il nonno”.
“Non lo vedremo più? Non potrà tornare?”
“No, piccolo mio. Quando qualcuno muore, non può più tornare. Ma noi possiamo vederlo e riaverlo sempre con noi, attraverso i ricordi.
Quando penso al nonno, io ricordo quando ci siamo conosciuti, il giorno che ci siamo sposati, come starnutiva quando i pioppi fiorivano, i gesti di ogni giorno, il tono della voce … E’ come se lo vedessi là, che entra dalla porta.
E così sarà per Fiocco. Ricorderemo il suo modo di miagolare e sbadigliare insieme, la sua espressione sorniona dopo che aveva fatto qualche birichinata, la sua camminata con la coda dritta e la sua dolcezza quando veniva a coccolarsi in braccio. Sarà così per me e anche per te, perché tutti e due possediamo ricordi di Fiocco.”
“Tu sai dov’è il posto dove stanno il nonno e Fiocco?”
“No, ma mi piace pensare che sia un arcobaleno.”
Quando la pioggia cessa, Marco esce in cortile, e lo sguardo corre al grande noce. Dal tronco chiaro, dietro la chioma maestosa, un grande arcobaleno si è levato al cielo, abbracciando un cielo azzurro come gli occhi di Fiocco.
Oggi
Marco è sempre fisso alla finestra, perso nei propri pensieri.
E’ estate, ma non ci saranno più vacanze nella grande casa in collina, immersa tra le viti.
La nonna se n’è andata, solo qualche giorno fa.
La mamma, preoccupata perché non rispondeva al telefono, era andata a casa sua. Nonna Gisella era seduta sulla sua poltrona preferita, accanto al focolare. Era serena, quasi sorridente, pareva dormisse.
Marco non voleva crederci. La nonna se n’era andata prima che egli potesse salutarla. Aveva tante cose da dirle, da chiederle, da farle vedere.
Quest’estate dovevano fare la marmellata di pesche …
Non si era ancora fatto insegnare a potare le piante …
Non le aveva ancora chiesto come curare quella pianta malata nel giardino …
Non le aveva dato la buonanotte … non le aveva detto che le voleva bene.
“Mi manchi tanto, nonna. Ed ora non c’è più tempo, non c’è più tempo di dire e di fare niente.”
Le gocce di pioggia rigano i vetri, come le lacrime sulle gote di Marco.
“Dove sei,nonna?”
Un lampo nel cielo, un ricordo improvviso, un’estate lontana, una conversazione tra lui e la nonna:
“Anche a me, piacerebbe, un giorno abitare su un arcobaleno.”
“Quando?”
“Quando sarò troppo stanca e troppo vecchia per stare qui e dovrò andare via. Allora mi piacerebbe abitare sull’arcobaleno.”
“Io, invece, vorrei comandare gli arcobaleni.”
“Come, piccolo, comandare gli arcobaleni?”
“Sì, farli nascere dove voglio e quando voglio e quanti ne voglio, che si incrociano, si scavalcano e fanno a gara tra loro, come questi… Adesso vanno via?
“Il sole si sarà stancato di giocare con l’acqua”
“Da grande voglio fare il direttore di arcobaleni!”
Malinconicamente Marco sorride, al ricordo. Sì, la nonna starebbe proprio bene su un arcobaleno. Ma sono così rari, effimeri, fragili …
“Vorrei tanto essere davvero un direttore di arcobaleni e farli nascere quando voglio, dove voglio. Un arcobaleno per la nonna, là sopra la sua collina … un arcobaleno per Fiocco, laggiù, vicino al torrente. Uno per il nonno, che non ho mai visto, ma è come se l’avessi conosciuto, per come me lo raccontava la nonna.”
E, mentre pensa, Marco rivede la nonna mentre cucina, quando accudisce gli animali, lavora l’orto…
Ecco che rincorre Fiocco che ne ha fatta una delle sue … ecco che si toglie il cappellone di paglia per asciugarsi il sudore …
“Chissà come si sarebbe agitata durante questo temporale! E quanto ulivo avrebbe bruciato”, pensa Marco sorridendo.
Si gira, è come se avesse sentito il passo della nonna dietro di sé. No, è solo uno scherzo del vento.
“No, piccolo mio. Quando qualcuno muore, non può più tornare. Ma noi possiamo vederlo e riaverlo sempre con noi, attraverso i ricordi”.
La nonna che ride, perché Marco ha scambiato i barattoli e ha messo il sale nel caffellatte … la nonna che lo consola perché si è sbucciato le ginocchia scendendo da un albero … la nonna profumata dopo aver sfornato una torta … la nonna arrabbiata, perché la ditta ha mandato le sementi sbagliate … la nonna triste dopo la morte di Fiocco …
Marco prende l’album delle foto e comincia a sfogliarlo. Ogni immagine, un ricordo, una scena che rivive, voci, profumi, sapori, sensazioni …
“Sì, ora capisco, cosa mi volevi dire, nonna. Anche se non tornerai, ti conserverò dentro di me per sempre, finchè avrò i ricordi.
E quelli li posso comandare, farli nascere e crescere quando e dove voglio.
Non posso comandare gli arcobaleni, ma in ogni momento, da qualche parte del mondo, c’è un arcobaleno. Nel cielo, su una bolla di sapone, attraverso un cristallo illuminato dal sole … Ogni volta che vedrò colorarsi la luce, potrò inviare un ricordo sull’arcobaleno. E potrò pensare che sia quello dove adesso abita la nonna.”
Non piove più. Il cielo è di nuovo azzurro, percorso da brandelli di nuvole disperse e fuggitive. Marco si alza ed esce sul balcone di casa, respirando l’aria pulita, velata dalla nebbiolina sospesa.
Ed ccolo, uno solo, partire da dietro il cedro del parco, dapprima un po’ pallido gracile e tremulo, poi alto e compiuto, descrivere la propria iperbole, salire sopra le colline e calare, dietro il ruscello.
“Così vicino che potrei toccarlo” pensa Marco.
Un attimo, e già si dissolve.
Nel cielo azzurro e chiaro, due nubi candide. Una, più grande, rincorre la più piccola, veloce, elegante, con un ciuffo dietro che sale, come la coda dritta di un gatto.